Scopri il nemico segreto e insidioso della vostra strategia di diversity e inclusion
Nel vostro studio associato, nella vostra azienda, puntate sulla diversity? Anche voi avete riconosciuto che includere vuol dire arricchire ed esprimere il pieno potenziale del vostro asset più importante, le persone? Allora leggete questo articolo e verificate che la vostra organizzazione, e in particolare i vostri processi HR, non stiano, inconsapevolmente, remando contro e quindi limitando se non annullando l'impatto dei vostri investimenti.
Ecco l'apparente soluzione:
Spesso si pensa di favorire il merito e l'inclusione impostando processi HR che siano riferiti a un modello di competenze. In questo modo, secondo questo approccio, sarà possibile misurare "oggettivamente" le aderenze e i gap tra candidata/o e modello. In particolare, questo strumento risulta prezioso per i processi di selezione e assessment, ma anche per la valutazione qualitativa della performance. Insomma, strumenti e processi meritocratici e in grado di evitare i gender-bias, come per altro indicato anche dal report Women in Leadership in Law report: The need for gender equality in the legal profession, presentato dalla Law Society UK, sarebbero la risposta ideale per garantire pari opportunità.
Purtroppo le cose non stanno esattamente così!
Ecco il problema:
Il fatto di riferire tutte le persone ad un unico modello e di condurre assessment e processi di selezione riferiti a criteri assoluti che stabiliscono aree di forza e miglioramento in base all'aderenza o meno al modello è un'operazione di omologazione. Questo a prescindere dal fatto che il modello sia creato da sole persone esponenti della categoria dominante o meno. Anche se il modello è costruito da un team eterogeneo, resta un modello univoco.
È la domanda di fondo ad essere critica: sei uguale o diverso dal nostro standard di riferimento? Capite bene che questa domanda è di segno opposto a una visione inclusiva e diversificante...
Ma attenzione:
L'intuizione di ricorrere a un processo di assessment e di voler aiutare l'organizzazione, ma anche le persone, con dei processi di valutazione è assolutamente corretta!
Il punto è quello di emanciparsi dal "modello unico di riferimento".
Per approfondire leggete
Contattatemi per maggiori informazione e dettagli: Paolo Lanciani
Paolo Lanciani
Psicologo del lavoro, con focus specifico sulla consulenza ad avvocati liberi professionisti e studi associati. Con i miei clienti realizzo assessment, coaching, workshop e team-building, lavorando indistintamente in italiano, tedesco e inglese. Sono tra i soci fondatori di De Micheli Lanciani Motta, studio associato di psicologi del lavoro e Benefit Corporation certificata. Con Nicola Di Molfetta, direttore del MAG di Legalcommunity.it, conduco il il podcast Complex, avvocatura oltre la superficie.
Per scoprirlo rispondete a queste domande
Non vi accontentate di una risposta approssimativa. Se fosse necessario, confrontatevi con chi gestisce i processi di cui parleremo, HR o professioniste/i coinvolte/i in prima persona e a vario titolo.- Avete un modello di competenze?
- Se sì, il modello è desunto dai vostri best-performer?
- Oppure è costruito a tavolino sulla base di un modello ideale a tendere?
- Utilizzate lo strumento dell'assessment?
- Cosa osservate attraverso l'assessment? Il report cosa riporta del/la candidata/o?
- Identificate i punti di forza e le aree di miglioramento delle persone in selezione o formazione?
- Sulla base di quale riferimento (se non o oltre al modello di competenze) stabilite punti di forza o aree di miglioramento?
- Se dovessi chiedere a più persone il profilo del/la professionista ideale, otterrei la stessa risposta?
- Questa risposta quanto dista dalle persone che detengono attualmente a leadership?
- Esiste una differenza, o distanza, tra la cultura HR formalizzata e quella reale?
Non esiste giusto o sbagliato, ma ecco il problema
A queste domande non esistono risposte giuste o sbagliate, per questo è importante che le risposte siano il più aderenti possibile alla realtà e non "politically correct".Ecco l'apparente soluzione:
Spesso si pensa di favorire il merito e l'inclusione impostando processi HR che siano riferiti a un modello di competenze. In questo modo, secondo questo approccio, sarà possibile misurare "oggettivamente" le aderenze e i gap tra candidata/o e modello. In particolare, questo strumento risulta prezioso per i processi di selezione e assessment, ma anche per la valutazione qualitativa della performance. Insomma, strumenti e processi meritocratici e in grado di evitare i gender-bias, come per altro indicato anche dal report Women in Leadership in Law report: The need for gender equality in the legal profession, presentato dalla Law Society UK, sarebbero la risposta ideale per garantire pari opportunità.
Purtroppo le cose non stanno esattamente così!
Ecco il problema:
Il fatto di riferire tutte le persone ad un unico modello e di condurre assessment e processi di selezione riferiti a criteri assoluti che stabiliscono aree di forza e miglioramento in base all'aderenza o meno al modello è un'operazione di omologazione. Questo a prescindere dal fatto che il modello sia creato da sole persone esponenti della categoria dominante o meno. Anche se il modello è costruito da un team eterogeneo, resta un modello univoco.
È la domanda di fondo ad essere critica: sei uguale o diverso dal nostro standard di riferimento? Capite bene che questa domanda è di segno opposto a una visione inclusiva e diversificante...
Ma attenzione:
L'intuizione di ricorrere a un processo di assessment e di voler aiutare l'organizzazione, ma anche le persone, con dei processi di valutazione è assolutamente corretta!
Il punto è quello di emanciparsi dal "modello unico di riferimento".
Per approfondire leggete
Perché dobbiamo subito dire addio ai modelli di competenze HR e non solo aggiornarli
La Curva dell'Efficacia Personale
Più valore per i clienti, le candidate e i candidati e per le organizzazioni!
Non solo abbiamo deciso di rinunciare all'utilizzo dei modelli di competenze, ma ci impegniamo a diffondere questo approccio auspicando che sempre più organizzazioni, studi professionali, aziende e istituzioni, adottino questo approccio. A tal fine, volentieri condividiamo il nostro processo di assessment con colleghe e colleghi psicologi del lavoro e con HR.Contattatemi per maggiori informazione e dettagli: Paolo Lanciani
Paolo Lanciani
Psicologo del lavoro, con focus specifico sulla consulenza ad avvocati liberi professionisti e studi associati. Con i miei clienti realizzo assessment, coaching, workshop e team-building, lavorando indistintamente in italiano, tedesco e inglese. Sono tra i soci fondatori di De Micheli Lanciani Motta, studio associato di psicologi del lavoro e Benefit Corporation certificata. Con Nicola Di Molfetta, direttore del MAG di Legalcommunity.it, conduco il il podcast Complex, avvocatura oltre la superficie.