3 tecniche di selezione molto usate che però vi fanno perdere le/i candidate/i migliori e scegliere quelle/i sbagliate/i

3 tecniche di selezione molto usate che però vi fanno perdere le/i candidate/i migliori e scegliere quelle/i sbagliate/i

Vi è mai capitato di selezionare la persona sbagliata? Quanto vi è costato quell'errore?

E vi è mai capitato di essere fortemente in dubbio? Di non riuscire a capire se la/il candidata/o fosse la persona giusta? 

Il processo di selezione per una persona che dovrà lavorare nel proprio studio o nella propria azienda è delicato e decisivo. Il costo di una scelta sbagliata non solo è alto economicamente, ma anche in termini di tempo ed energie, oltre che faticoso emotivamente per tutte le persone coinvolte.

Senza avere l'ambizione di esaurire un tema così complesso, oggi voglio analizzare 3 tecniche di selezione deleterie ma molto diffuse sia tra HR recruiter, sia tra professionisti, partner e manager che tengono colloqui con potenziali candidate/i. 

Tre falsi miti della selezione che creano più danni che benefici

Mettere la persona sotto pressione per vedere come la gestisce

Questa strategia era molto in voga anni fa anche tra gli addetti ai lavori, recruiter e assessor, mentre oggi la vedo messa in campo prevalentemente da professionisti e manager che vogliono tastare il polso a potenziali collaboratrici e collaboratori.  L'idea di fondo è che se una persona gestisce bene la pressione in sede di colloquio, questo avverrà anche sul lavoro. 

Partiamo dal dire che il tema è centrale! Non conosco lavori e ruoli che non siano esposti a pressioni e quindi poter sapere se la persona sarà in grado di sostenerle e gestirle in modo efficace è determinante

Quindi il problema non è il voler indagare questo aspetto, ma il come lo si faccia. Nello specifico, è il presupposto che la reazione in sede di colloquio sia trasferibile o predittiva del comportamento in contesto lavorativo ad essere sbagliato. I due tipi di pressione non possono essere considerati uguali. È molto diverso risultare efficaci nel dimostrare la propria competenza in sede di colloquio ed essere efficaci nell'utilizzare la propria competenza sul lavoro. In altre parole, una persona che va in ansia da prestazione in sede di colloquio, può essere estremamente serena di fronte a un problema col cliente e viceversa, una persona estremamente serena in colloquio può perdere la pazienza o la lucidità con estrema facilità sul lavoro... 

Come fare per indagare l'efficacia sotto pressione?

Per prima cosa, mettere a proprio agio la persona. Il colloquio di selezione dà molti più risultati se la persona intervistata si sente a proprio agio e quindi collabora. Non si tratta di un interrogatorio, ma di un lavoro a 4 mani in cui la persona in selezione è la maggiore esperta su se stessa. In questa sede sarebbe eccessivamente lungo spiegare nel dettaglio come fare, ma possiamo comunque esplicitare alcuni principi:
  • introducete la sessione spiegando o ricapitolando l'iter, quello che è già successo (screening dei CV o altri passaggi) e quello che seguirà; rassicurate la persona su quando e come riceverà un riscontro (assicurate e garantite un feedback ad ogni candidata/o a prescindere dall'esito)
  • fate un po' di conversazione introduttiva, non per valutare quanto sia spigliata la persona, ma per permetterle di rilassarsi
  • sedete ad angolo (vedi immagine)
  • se prendete appunti, fatelo in modo trasparente
In generale l'obiettivo è mettere la persona a proprio agio per permetterle di mostrarvi tutto il suo potenziale (vedi La Curva dell'Efficacia Personale)

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A questo punto indagate con la persona quanta consapevolezza ha di cosa la interessi, intrighi e appassioni, da una parte, e se sia consapevole di cosa sappia fare bene, perché e in quali condizioni, dall'altra.
Più la persona conosce il proprio funzionamento, più risulterà efficace anche sotto pressione. 
Ecco una possibile sequenza di domande:
  1. Mi racconta un caso di successo? Un'occasione in cui ha sentito di essere efficace?
  2. (se non espressamente detto in risposta alla 1) Perché si è sentita/o efficace in quella situazione? Da cosa è dipeso? (cita cosa l'ha motivata o cosa le ha dato sicurezza?)
  3. In generale, cosa la motiva? In quali situazioni/condizioni si sente sicura? Quali sono le sue condizioni di lavoro ideali?

Chiedere i punti di forza e di debolezza

Ho già esplicitato in un precedente articolo come i modelli di competenze, e in genere le etichette legate alla prestazione, abbiano dei limiti ( vedi Perché dobbiamo subito dire addio ai modelli di competenze HR e non solo aggiornarli):
  • l'etichetta è assoluta, ovvero indipendente dalla situazione specifica
  • l'etichetta è costante, ovvero presuppone che la persona sia sempre e per sempre così
Ma tutte/i noi abbiamo l'esperienza di essere più o meno efficaci a seconda della situazione o di essere cambiati, non solo nel corso degli anni, ma anche a seconda del momento della giornata.

Quindi, non solo una determinata caratteristica non può essere definita in assoluto come positiva o negativa, ma neanche si deve considerare sempre presente o sempre alla stessa intensità.

Nel momento in cui siamo noi a chiedere di etichettarsi, possiamo forse avere delle indicazioni su come si percepisca la persona, ma dobbiamo essere consapevoli del fatto che la nostra domanda influenzerà fortemente la risposta: in sede di colloquio, se mi viene posta una domanda, cercherò di dare una risposta, piuttosto che mettere in discussione i presupposti della domanda. E se state pensando che, in fondo, potrebbe essere un buon modo di vedere se la persona sa farsi valere o accetta tutto passivamente, siete ricaduti nel primo punto...

Come fare per indagare le caratteristiche della persona?

Se avete costruito un buon clima, basterà chiedere. Chiedete alla persona di parlarvi di sé, del perché abbia scelto questa carriera, di quali persone significative abbiano influenzato in positivo o negativo il suo percorso... dalle risposte vedrete emergere il suo ritratto.
Ascoltando, cercate di appuntarvi elementi ricorrenti, di segnare chi sia la o il soggetto/protagonista (lei, il suo team, lo studio o azienda?), quali aggettivi usi per descrivere quali situazioni. Provate a prestare particolare attenzione ai cambi di tono di voce: ad esempio, quando la voce diventa particolarmente acuta può indicare attivazione (ansia o eccitazione) e quando diventa profonda può indicare che il tema è per lei emotivamente rilevante.
Se avete un dubbio, siate trasparenti: "ascoltandola ho l'impressione che...", possibilmente non definite la persona ("...lei sia...") ma riferitevi a situazioni particolari, "...quando si trova in questa situazione, tenda a (reazione notata)...", e poi chiedete conferma, "le torna?". Se la persona conferma, bene, altrimenti bene lo stesso! Non si tratta di indovinare, ma di aiutare la persona a presentarsi per quello che è.


Chiedere cosa farebbe in una determinata situazione

L'intervista situazionale è una tecnica codificata molto utilizzata in sede di colloquio e assessment. Dà l'illusione di poter osservare come la persona si comporterebbe proprio in quella situazione. Peccato che sia pura teoria! Chiunque di noi, non agisce nel vuoto, a prescindere dal contesto, o meglio da come conosce e percepisce il contesto, e dalle persone con cui è in relazione, i presenza e non... A questo si aggiunge che in sede di colloquio le persone vogliono "dare la risposta giusta". Queste domande, di fatto, sollecitano risposte scolastiche (quello che ho letto o penso essere "giusto") o solevano dubbi e infinite sotto domande per capire meglio... 

Come fare per indagare le competenze della persona?

L'unico modo per osservare delle competenze è quello di farle mettere in atto sul momento. Purtroppo qui non esiste una tecnica semplice da usare in colloquio. Un assessor addestrato potrà modulare la conversazione e proporre temi da discutere insieme, ma si tratta di una conduzione per professionisti esperti ed è difficilmente replicabile. 
Lo strumento più solido è la prova operativa, idealmente un caso reale. Noi, per esempio, abbiamo sviluppato una forma di workshop Project Based che fa lavorare le persone su casi reali con la possibilità di muoversi liberamente coinvolgendo chi si vuole. Questo approccio supera i limiti delle esercitazioni artificiali, dove i numeri sono statici e non ci sono reali persone (al massimo attori), ma richiede un setting diverso dal colloquio.

Anche la domanda rivolta al passato ha lo stesso limite... perché siamo noi a non avere gli elementi di contesto, tuttavia in sede di colloquio l'unica possibilità è l'intervista semi-strutturata sui modelli del Behavioural Event Interview proposto da McClelland o dell'intervista STAR, chiedendo di descrivere una situazione critica, Situation, il compito/obiettivo contingente, Task, cosa si sia fatto, Actions, e il risultato ottenuto, Result.
Bonus, un piccolo trucco per usare bene questa traccia. La domanda da integrare ad ogni passaggio è "perché". Chiedete alla persona di spiegare perché si fossero verificate quelle condizioni, perché avesse quel compito/obiettivo, perché abbia agito in quel modo e, infine, perché sia arrivato a quel risultato. Le risposte al perché vi indicano quanto la persona abbia compreso, metabolizzato e capitalizzato l'esperienza. In questo modo avrete due indicazioni chiave: "sa imparare?" e "si conosce?", che sono i due fattori di successo trasversali a qualsiasi ruolo.


Buon lavoro e in bocca la lupo per la vostra prossima selezione!

Per eventuali chiarimenti e ulteriori approfondimenti non esitate a contattarci, 
Paolo Lanciani 




Paolo Lanciani
Psicologo del lavoro, con focus specifico sulla consulenza ad avvocati liberi professionisti e studi associati. Con i miei clienti realizzo assessment, coaching, workshop e team-building, lavorando indistintamente in italiano, tedesco e inglese. Sono tra i soci fondatori di De Micheli Lanciani Motta, studio associato di psicologi del lavoro e Benefit Corporation certificata. Con Nicola Di Molfetta, direttore del MAG di Legalcommunity.it, conduco il il podcast Complex, avvocatura oltre la superficie.





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