Un’esperienza di professionista-accademico al tempo del Coronavirus.

Un’esperienza di professionista-accademico al tempo del Coronavirus.

E così anche quest’anno, in un lunedì di primavera, è suonata la campanella di inizio del secondo semestre in Università.

Ma quest’anno è già maggio; e sono in casa, davanti a uno schermo.

Metodologia della Ricerca è la prima classe che incontro. Primo anno, studenti mai visti. E loro non hanno mai visto me. Equo, quantomeno. Ho pensato di mettere la mia foto nel profilo del Docente sulla piattaforma dell’Università.

È andata. Andata anche bene, riflettendoci ora. Ma che agitazione, e che rigidità.

Non riuscivo a sentirmi ‘al lavoro’, senza le scarpe: è irrazionale, – e sono una psicologa, accidenti – tanto dal busto in giù non mi vede nessuno… ma senza scarpe non riuscivo a considerarmi professionale, seria, concentrata come un docente dovrebbe essere. E così ne ho indossato un paio: comodo, mai usato. Perfetto.

Rigidità anche nella presentazione del corso, del programma d’esame e delle indicazioni bibliografiche.

Quello che avevo pensato, nella faticosissima ri-progettazione della didattica tenendo conto di tutte le differenze tra lezione in presenza e videolezione, è stato parlare di RELAZIONE didattica e professionale, da costruire.

Ma era un’idea rigida: e così è sfumato tutto il mio ‘bagaglio’ di presentazione di me, di aspettative, di esperienza di questi anni di insegnamento.

 

Tanti anni sono passati dall’a.a. 2009-2010, dalla primavera (anche allora, secondo semestre: il meglio) in cui, freschissima di Dottorato di Ricerca, mi sono quasi precipitata all’Università degli Studi di Pavia per poter iniziare il Corso che mi avevano affidato.

Erano due, in realtà. Ma la prima lezione era di Psicologia Sociale della famiglia.

Ora che lo scrivo, mi sembra di riviverlo come fosse oggi.

Qualche giorno prima dell’inizio delle lezioni mi chiamano dalla Segreteria, con tono anche un po’ mortificato, indicandomi l’aula che mi è stata assegnata: la Cripta dell’aula Magna. E non capisco, a me sembra prestigiosa come location!

Poi la vedo: una Chiesetta sconsacrata convertita (è proprio il caso di dirlo) alla didattica.

Immaginate: io (giovanissima, che non ho mai insegnato davvero, se non in qualche esercitazione o seminario) spiego dall’altare e gli studenti mi seguono dalle panche; scomodissime per stare e per prendere appunti, tra l’altro.

Eppure, con tutta l’emozione dell’inesperienza e della novità, sono stata vera, abbiamo ovviamente scherzato sulla sacralità della materia e dei miei insegnamenti, ho espresso il mio stile. Ero io. Lì, per loro, ho cominciato ad essere ‘prof.’.

Quest’anno invece ho permesso alla tecnologia di farmi da barriera. E sono stata rigida.

Devo dire che mi ci sono volute anche le quattro ore della seconda lezione per realizzarlo. Poi ho fatto un bel respiro e ho fermato la mia consapevolezza su quello che stavo vivendo. E come stavo andando. Sia con i ‘primini’, sia con gli studenti dei due anni successivi, già incontrati negli anni precedenti: con loro la relazione didattica e umana rimaneva da ridefinire, però!

Caterina De Micheli sitopng 

E ho capito che dietro a quello schermo c’ero sempre io; che quello che rimane, anche nello sconvolgimento che stiamo vivendo – anche professionalmente – è l’essenziale. Ho ritrovato nel nuovo quello che sono, come professionista e come docente.

Anche ora che scrivo, se riguardo e ripenso alla ‘tempesta’ che ho (ad oggi) superato, rinnovo l’energia per proseguire in modo meno rigido e più efficace, più resiliente.

Le attività di docenza sono una parte importante della mia professione, a cui rinuncerei a fatica e solo se costretta.

Amo il contatto con i giovani psicologi in formazione, amo poter riflettere per loro e insieme a loro sull’importanza di una disciplina, sull’importanza di acquisire conoscenze, prima e accanto alle competenze professionali, sulla preziosità dei momenti della didattica.

Quante riflessioni si possono fare, anche qui da casa, quanti contenuti rimangono essenziali, quanto è importante trasmetterli nel modo più efficace, prestando attenzione alle persone con cui interagisco, verso un obiettivo che è raggiungibile solo insieme, facendo ognuno la propria parte.

Anche nella formazione con i professionisti è così: spesso è un esercizio di consapevolezza di competenze già agite, un momento per riflettere e ascoltare, e ascoltarsi, per crescere professionalmente. Per me è e rimane (anche ora, online) un momento prezioso per imparare dagli altri, dalla loro esperienza professionale, mettendoci la mia.

E in questa modalità nuova, iniziata causa forza maggiore, ora so che è possibile ritrovare ciò che è essenziale, e distinguerlo dai “rumori di fondo”. In una prospettiva che mi permette di rimettermi in equilibrio rispetto alla mia Curva di Efficacia Personale.

Caterina De Micheli