Nosce te ipsum

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Perché “nosce te ipsum”? 

Senza avere l’irrealistica presunzione di poter “conoscere se stesse/i” in un unico incontro, si vuole sottolineare quanto questa sia una competenza di base fondamentale per un/a professionista.

Ora, conoscere se stesse/i è un percorso senza un vero e proprio punto d’arrivo, da un lato per la difficoltà stessa del compito, dall’altra perché noi tutte/i siamo in costante cambiamento e, quando pensiamo di esserci “afferrate/i”, ecco che in realtà già potremmo aver cambiato un qualche aspetto di noi.

Tuttavia, lo sforzo non è vano: l’importante non è, infatti, il punto di arrivo, ma il processo, non tanto la risposta quanto la domanda.

In questo percorso/processo, ecco che la mindfulness ci viene in aiuto, come strumento per un’esplorazione costante, profonda ed efficace di sé.

 

Ma cos’è la mindfulness?

Il termine “mindfulness” è la traduzione inglese di “sati” che, nella lingua pali – la lingua parlata dal Buddha –, significa sostanzialmente consapevolezza, attenzione, piena consapevolezza mentale.

Possiamo, quindi definirla come

“una forma di attenzione consapevole e non giudicante al momento presente.”

In altre parole, la capacità di stare nel qui ed ora, pienamente presenti in ciò che stiamo facendo, senza il “rumore di fondo” di pensieri che, mentre svolgiamo un’azione, un compito, un lavoro, vagano altrove, in altri spazi e in altri luoghi. Ne consegue quindi che, in realtà, tutte/i noi abbiamo dei momenti in cui siamo mindful: quando stiamo svolgendo un compito particolarmente impegnativo e che richiede la nostra attenzione, al punto che siamo al 100% concentrati sul quel compito, possiamo affermare di essere, in quel momento, mindful.

 

Cosa, invece, NON è la mindfulness?

“Non è un qualcosa di puramente teorico, astratto, qualcosa che presuppone una fede, qualcosa da praticare in una stanza buia nella cornice di una tradizione religiosa o filosofica, o qualcosa che richieda una licenza.” (McKenzie, 2018, p. 12)

Non è, o almeno non dovrebbe essere, una pratica staccata dalla nostra vita quotidiana o che, peggio ancora, da questa ci fa ritrarre e fuggire. Viceversa, ha proprio lo scopo di aiutarci a vivere meglio e più pienamente qualunque nostra attività, lavoro incluso.

 

Mindfulness e MBSR: facciamo chiarezza

Oggigiorno, se si sente parlare di mindfulness, è molto probabile che il riferimento sia all’MBSR (Mindfulness Based Stress Reduction – Riduzione dello stress basata sulla mindfulness).

Questo è un protocollo ideato da Jon Kabat-Zinn, biologo americano di origini indiane, che ha pensato di portare questa pratica orientale nel mondo occidentale, creando un protocollo di 8 settimane nel quale si sperimentano una serie di attività utili ad innalzare il nostro livello di consapevolezza non giudicante del momento presente. Queste attività sono: Respirazione consapevole, body-scan, meditazione seduta, meditazione camminata, hatha yoga.

Originariamente il protocollo MBSR è nato in contesto clinico, per il controllo dello stress derivante da diagnosi particolarmente infelici e per il sostegno nella gestione di dolori cronici. Nel corso degli anni, tuttavia, si è diffuso anche al di fuori del contesto clinico, diffondendosi in vari ambiti, tra cui quello lavorativo.

 

Pratica formale e pratica informale

Questi sono due aspetti fondamentali della mindfulness, complementari tra loro e che si alimentano l’un l’altro. Vediamoli.

1.   Pratica formale: consiste nel dedicare un tempo e uno spazio specifici, attraverso la meditazione o altre attività simili, alla pratica della mindfulness. La pratica formale ci permette di approfondire la nostra capacità di ascolto di noi stesse/i (e di conseguenza delle/degli altre/i), la nostra concentrazione e la capacità di stare presenti e consapevoli il più possibile e nelle più svariate circostanze.

2.   Pratica informale: consiste nello svolgere attività quotidiane sforzandosi di mantenere la nostra totale attenzione su di esse. Ecco, allora, che posso praticare informalmente quando mangio (mindful eating), quando passeggio (meditazione camminata), quando guido, quando lavo i piatti, ecc… e, naturalmente, quando lavoro!

 

Benefici della mindfulness in ambito lavorativo

Il nostro cervello, per quanto straordinariamente performante, non ha una “RAM”, per usare una metafora, infinita. Di conseguenza, quante più attività (volute o non volute, consapevoli o inconsapevoli) sta svolgendo in un determinato momento, tanto più perderà capacità performative, con una ricaduta sui tempi di esecuzione e/o sulla precisione dell’attività che stiamo svolgendo.

È evidente, quindi, come una pratica quale la mindfulness che, come abbiamo visto prima, riduce i “rumori di fondo”, possa darci grandi benefici nella nostra professione.

Inoltre, comporta ricadute positive su:

·     Riduzione dello stress - come abbiamo visto il protocollo MBSR nasce proprio a questo scopo e vi sono svariate ricerche scientifiche che ne provano l’efficacia

·     Decision making – è stata fatta una ricerca in cui sono stati intervistati vari dirigenti rispetto al proprio processo decisionale. Ne è risultato che le decisioni che si sono rivelate essere più valide, sono state prese sulla base di intuizioni. Questo, perché l’intuizione altro non è che un processo mentale veloce che tiene conto di una serie di elementi che il nostro cervello ha colto e analizzato, anche se non a livello consapevole. La pratica della mindfulness, aumentando il nostro livello di auto-consapevolezza, ci rende maggiormente in grado di sentire e ascoltare le nostre intuizioni.

·     Leadership – essere riconosciuti come leader, al di là del ruolo formale, è frutto di una serie complessa di comportamenti e dinamiche relazionali. Tra queste, una delle principali è la capacità di mostrare coerenza tra ciò che diciamo e ciò che facciamo (il contrario, insomma, di quanto afferma il famoso detto “fa’ ciò che il prete dice ma non ciò che il prete fa). Praticare mindfulness, attraverso il processo di esplorazione e conoscenza di sé, pone i presupposti per poter avere, e quindi poi mostrare, questa coerenza interna.

·     Gestione delle relazioni – oltre a quanto già affermato sopra per quanto riguarda la leadership, aggiungiamo la dimensione dell’ascolto: elemento fondamentale per creare relazioni (con colleghe/i così come con clienti) solide e funzionali, la capacità d’ascolto (di sé e, come conseguenza, degli altri) è significativamente potenziata da una pratica regolare della mindfulness.

·     Creatività – l’accesso alle nostre capacità creative è dato dalla capacità di attivare non solo le nostre risorse cognitive, ma tutti i nostri sensi: ancora una volta, praticare mindfulness conduce proprio in questa direzione.

 

Mindfulness e curva dell’efficacia personale

Una pratica regolare ci fornisce gli strumenti necessari per risalire la curva in modo sempre più rapido, aiutandoci così a riequilibrarci, “ri-metterci in bolla” e innalzare la nostra performance.

Inoltre, grazie a una miglior capacità di ascolto di sé che si acquisisce con la regolarità della pratica, diventa più facile comprendere, quando siamo “fuori assetto”, se ci stiamo spostando verso sinistra (apatia) o verso destra (panico). Ciò, anche in quelle situazioni in cui i sintomi si presentano molto simili tra loro ed è quindi difficile attuare questo discrimine. Una volta compreso su quale lato della curva ci troviamo, sarà più facile intervenire in modo adeguato, utilizzando anche una modalità di respirazione adeguata alla situazione – si veda articolo Chiara Cosentino.

 

La pratica

·     Pratica formale: ci sono vari step, il primo dei quali è la respirazione consapevole. Questa consiste nel portare la propria attenzione al ventre o alla zona compresa tra il labbro superiore e l’ingresso delle narici (la zona dei baffi, per intenderci) e, contemporaneamente, prestare attenzione consapevole al nostro respiro così com’è. Attenzione al ritmo di inspirazione ed espirazione, senza far nulla per modificarlo ma, semplicemente, osservandolo come dei testimoni. Durante questa pratica, succederà con molta frequenza che arriveranno dei pensieri a distogliere la nostra attenzione dal respiro. È normale. Non dobbiamo irritarci, né tantomeno pensare che stiamo sbagliando qualcosa. Semplicemente, nel momento in cui ci rendiamo conto che ci siamo distratti, ne prendiamo atto (consapevolezza del momento presente: in questo momento mi sono distratto) e poi, gentilmente, riportiamo la nostra attenzione al respiro.

Consiglio questa attività per 10/15 minuti al giorno. I benefici, col tempo, saranno una maggior capacità di concentrazione e di “stare” nel qui ed ora.

·     Pratica informale: cogliere qualunque occasione ci si presenti, nel corso della giornata, per svolgere una qualsiasi attività dedicando ad essa la nostra totale attenzione. Può aiutare scegliere un’attività che si svolge tutti i giorni (ad es.: lavarsi i denti, fare la doccia, lavare i piatti, riempire/svuotare la lavastoviglie…).

Inoltre, durante la giornata, dedicare pochi secondi per dedicare attenzione al respiro (due, tre respiri), così come nell’esercizio della pratica formale, ma senza interrompere l’attività che stiamo svolgendo

 

Bibliografia

Kabat-Zinn, Jon. Vivere Momento per Momento. Il Corbaccio, 1990

Kahneman, Daniel. Pensieri Lenti e Veloci. Mondadori, 2012

McKenzie, Stephen. Mindfulness al lavoro. Erickson, 2018